«Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere,
ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone».

Andrea di Creta

Iniziamo la grande settimana che ci fa celebrare il mistero della nostra salvezza. Due elementi la caratterizzano: la memoria dell’accoglienza riservata a Gesù che fa il suo ingresso solenne a Gerusalemme, accolto con rami d’ulivo e palme, e il racconto della Passione che conferisce un senso particolare a questa domenica.

Gli Israeliti fecero festa a Gesù che entrava a Gerusalemme, cavalcando un umile asino; essi lodavano Dio per tutto quello che avevano potuto vedere in Gesù: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore!», acclamavano. È l’entusiasmo dei poveri, di quelli che riconoscono in Gesù il Messia povero e umile, che viene nella mitezza e nella misericordia per portare la pace.

Di lì a poco, però, a farsi sentire saranno gli altri, quelli che non sopportano più Gesù e la sua parola, i suoi atteggiamenti e persino i suoi miracoli.

Ma Gesù ha scelto di vivere come quel “servo sofferente” di cui parla Isaia, colui che accetta di prendere su di sé una sofferenza che gioverà a tutti perché Dio non vuole la vita degli uomini, ma è disposto ad offrire la sua.

Colui che viene «nel nome del Signore», avanza disarmato e disarmante, come ogni testimone, senza cedere a ricatti, senza subire compromessi, senza cadere nella paura: è guidato solo dalla fiducia e dall’amore.

Egli sceglie una direzione opposta a quella imboccata dai primi uomini; essi pensarono di impadronirsi della divinità, mangiando il frutto proibito. Lui, al contrario, non si è aggrappato al suo stato divino, ma ha accettato di “svuotarsi”. E la sua spoliazione è stata radicale: non solo si è fatto uomo, e quindi fragile, ma ha assunto la condizione di un servo, disponibile ad affrontare ogni sofferenza e addirittura la cosa più abominevole, la morte sulla croce.

In tutto questo egli ha dato prova di un amore illimitato, senza ombre e ripensamenti. Per questo è stato glorificato dal Padre. Non solo è ritornato alla vita, ma è entrato nella gloria e gli è stata affidata una signoria senza confini.

Questo modo di morire ha colpito il centurione romano, come ci racconta il vangelo della Passione di Gesù; egli vedendolo morire ha esclamato: “Veramente quest’uomo è il figlio di Dio!”. Quell’uomo, quel Gesù che continua ad amare, a donare, ad offrire misericordia e perdono anche morendo su quel terribile supplizio che è la croce … Questo è ciò che colpisce il centurione, cosa lo convince di trovarsi davanti al Figlio di Dio; ecco cosa lo porta ad andare al di là delle apparenze e a cogliere ciò che è splendidamente divino: un Amore così grande che nulla può fermare, una misericordia così smisurata che continua anche quando l’ingiustizia devasta e umilia.

Il male è vinto dall’amore come la morte è vinta dalla forza della vita di Dio; è questa la pasqua che siamo chiamati a vivere e a proclamare anche nelle nostre croci, anche nelle nostre sofferenze.

                                                                                                                                       

 

 

 

 

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