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Il monte e la nube. Oggi siamo chiamati a cercare sul monte un incontro che rinnovi la nostra vita, anzi siamo chiamati a lasciarci condurre sul monte da Colui che ci accompagna nel viaggio della vita.
Il monte nella Bibbia è luogo dell’incontro con Dio; è luogo ‘alto’ dove l’uomo si avvicina al cielo, riducendo simbolicamente la sua distanza da Dio. Salire sul monte impegna tutte le sue forze, le sue energie perché ogni salita è faticosa e difficili sono le strade che conducono ‘in alto’! Bisogna rendersi liberi da tutto ciò che appesantisce per salire più rapidamente, per raggiungere più speditamente la meta.
Così salire sul monte diventa per l’uomo esercizio di libertà, di rinuncia a ciò che non serve per elevarsi, per raggiungere mete e traguardi alti.
Il monte può essere il momento della verità con noi stessi; ci chiede di toglierci le maschere per ritrovarci con la verità che si fa sentire nei nostri cuori; può essere il silenzio che ci invade il cuore e ci manifesta il valore vero delle cose, dei volti, di noi stessi. Il monte può essere il desiderio di rinnovarsi, di cambiare, di migliorare la qualità della propria vita e delle proprie relazioni.
Le vette dei monti ci attraggono perché ci permettono sia di distaccarci dalla confusione e dal caos in cui spesso ci smarriamo, sia perché la vetta ci rivela orizzonti più ampi, ci rapporta ad un mondo più grande, ci mette nella situazione di individuare strade e mete altrimenti impossibili da scoprire.
Sul monte Dio chiama Abramo a sacrificargli Isacco, il figlio amato; sul monte Gesù conduce i suoi amici Pietro, Giacomo e Giovanni e davanti ai loro occhi si trasfigura, lasciando sprigionare dal suo volto la luce del suo mistero. In entrambe le esperienze del manifestarsi di Dio, nonostante la luminosa Presenza c’è sempre l’opacità di una nube: una nube che copre e offusca, che rivela ma che anche nasconde. È proprio questo il linguaggio della fede: il sapere della presenza e della compagnia di Dio in tutte le giornate della nostra vita, ma anche il constatare il suo silenzio, la sua apparente assenza, il sapere la fatica del dolore e del peso della croce nonostante la fede in Colui che ci è Padre e Amico. Nessun uomo è esonerato dalla tribolazione, nessun uomo può salvarsi senza passare dalla via della kenosis, dell’abbassamento e della umiliazione, della sofferenza e della prova, della morte: questa è l’unica e perenne via della salvezza.
La fede non è il luminoso cammino di chi sa tutto, capisce tutto, sa spiegarsi tutto; la fede è tale anche quando la luce si spegne e l’uomo è solo, come Gesù, solo sulla croce, solo nella vita, solo nella sofferenza.
La fede non ci dà punti di riferimento nel miracolo: l’unico miracolo che le viene dato è quello della Parola di Dio, che attesta la risurrezione del Cristo e la nostra risurrezione. Dio è nella nube e dalla nube viene la Parola. Il credente vive all’interno della comune fatica umana, con l’unica forza che è quella della fede nella Parola del Signore, del Dio che parla ed ha parlato, in Gesù Cristo, e che ci certifica, nella sua morte e nella sua risurrezione, che la nostra fatica storica non è vana e che anche il nostro fallimento rientra nel suo disegno di amore.
La Parola della fede, nella sua nudità essenziale, e l’uomo vivente: sono questi i termini di riferimento e di recupero dell’autenticità della fede. In questo senso, anche noi dobbiamo sacrificare i primogeniti, le ideologie in cui abbiamo creduto, le cose cui siamo tenacemente legati, gli idoli che sono dentro di noi e a cui non riusciamo a rinunziare! Se fossimo liberi da tutto ciò che ci vincola al mondo delle cose, noi ritroveremmo la limpidezza della Parola della fede, e daremmo al nostro cuore e ai nostri fratelli fiducia e speranza nel cammino verso un adempimento che noi non sappiamo spiegare.

Sul monte della Trasfigurazione riceviamo la certezza che la strada della croce conduce alla vita; chi si affida a Dio e si dona con generosità passa attraverso il momento oscuro e doloroso del dubbio e dell’angoscia, ma il suo cammino si apre verso la gioia della risurrezione.
Sul monte Tabor è disegnato il mistero della croce che attraverso la morte dona vita. Salire su questo monte in compagnia di Gesù e dei suoi discepoli, della Chiesa, significa imparare a guardare il mondo e se stessi con gli occhi di Dio, cioè alla luce della sua Parola, perchè solo essa può orientare la fedeltà della nostra vita alla fedeltà di Colui che si è impegnato con noi in un cammino di salvezza e di liberazione. E Lui, Dio, è sempre fedele.

Dal deserto della tentazione, Signore
Tu ci conduci sul monte della Trasfigurazione.
Ci regali per un momento la tua luce,
ci mostri per un istante il tuo volto,
quel volto che noi cerchiamo
anche quando ci allontaniamo da te.
E ti trasfiguri, Signore,
luminoso e abbagliante come il mistero
luminoso e abbagliante come la verità
come la bellezza che manifesti
agli occhi smarriti e sorpresi dei discepoli
che mai così ti avevano conosciuto.
Per un momento, per un momento solo
è donata agli occhi questa luce; poi tu rimani solo
davanti al tuo destino; solo
sulla strada della croce; solo
sulla strada dell'obbedienza al Padre
che ti porterà alla resurrezione ma dopo la morte,
dopo che sei stato capace di spogliarti di tutto
e di donare tutto.
Tu, Signore, vuoi farci vedere la gioia
che nasce nei nostri cuori quando
viviamo fedeli alla tua Alleanza, quando
l'ascolto della tua Parola diventa operoso,
quando la fiducia in te diventa totale e assoluta.
Solo la Parola è data, a te e a noi;
la Parola del Padre, la tua parola.
Ad essa dobbiamo riferirci per avere quel poco di luce
che oggi ci può rischiarare la direzione del cammino,
e che come il giorno, crescerà, poco a poco,
per condurci a quella luce senza tramonto
della tua e della nostra Pasqua.